Secondo me nell'epoca odierna è difficilissimo pensare a un'utopia. Questo perché, come già spiegato nel discorso sui limiti dello sviluppo, l'uomo ormai ha deteriorato il pianeta e sembra essere ben lungi dal riconoscere i suoi errori in tempo per poter arrestare il processo delle conseguenze che ne scaturiscono oggi e che continueranno a scaturirne in futuro. Per cui, in uno scenario del genere, credo sia molto difficile pensare a un'utopia come la pensò Tommaso Moro con il romanzo Utopia, o Tommaso Campanella ne La città del sole. E proprio per lo stesso motivo è difficile trovare un pensiero utopico nell'arte dei nostri giorni.
A questo riguardo però oggi voglio sottoporre alla vostra attenzione una mostra che si è realizzata dal 17 settembre al 7 dicembre 2019 alla Ford Foundation Gallery di New York, dal nome Utopian imagination, nella quale emerge il problema del rapporto tra arte e etica.
In un'intervista la curatrice della mostra si espone con queste parole.
”La trilogia di mostre è ispirata a una citazione di Naomi Klein secondo cui l'impegno sociale non è stato più in grado di tradursi in politiche dai tempi delle lotte per i diritti civili. A quei tempi la gente voleva una vera e completa rivoluzione, un cambio di sistema. Oggi ci sono i professionisti del sociale e ognuno lavora nel suo specifico campo senza che ci sia più una connessione tra le diverse questioni. Queste mostre vogliono rimettere in connessione i diversi campi e affrontare le questioni climatica, sociale, di genere, di razza come una questione sistemica [..]. E attraverso questo filtro possiamo essere inclusivi e creare narrative che esplorano alternative al sistema capitalistico, all'interno del quale non abbiamo possibilità di sopravvivere. Come artista e curatrice, il mio lavoro consiste nel sognare e io sogno la rivoluzione totale.”
The prayer catcher, Saks Afridi |
Entrando nella mostra ci appare davanti questa prima opera, che l'artista Saks Afridi espone insieme ad una domanda cruciale: “Se tutte le tue preghiere fossero esaudite, cambierebbe il mondo o solo il tuo mondo?“. L'opera infatti dovrebbe evocare una navicella spaziale simile ad una Moschea, che ogni 24 ore realizza un desiderio per ogni essere umano sulla Terra.
Nell'opera la donna africana è incapsulata in questo abito a forma di navicella. Si tratta di una regina androide, in grado di viaggiare attraverso le galassie, emancipando così quella cultura nubiana soppressa dal colonialismo novecentesco.
"La duplicità attraversa tutta la mostra e trova completezza, equilibrio e armonia. Complessivamente, il gruppo di opere esposte compone un racconto corale di una civiltà del futuro in cui l’uomo recupera il suo sapere ancestrale e un rapporto simbiotico con la terra che lo ospita. Un futuro, per una volta non distopico, in cui reimmaginare, con gli strumenti dell’arte, la vita sul pianeta."
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